Intervista a Shlomo Venezia

Federico Polverelli ha intervistato Shlomo Venezia

Federico Polverelli è uno studente universitario che negli anni passati ha frequentato il progetto Educazione alla Memoria.
In occasione della presentazione a Rimini del libro Sonderkommando Auschwitz di Shlomo Venezia, il 12 dicembre 2007, ha intervistato l'autore, chiedendogli della sua tragica esperienza a Birkenau, ma soprattutto di come vive oggi, con il peso di una memoria che non passa mai.

RIMINI - L'ultima volta che ci siamo incontrati è stato l'anno scorso ad Auschwitz, quando ci ha accompagnato nel viaggio-studio organizzato da Laura Fontana, responsabile del Progetto Educazione alla Memoria del Comune di Rimini. Da allora Shlomo Venezia è rimasto uguale: i segni del tempo non sembrano aver lasciato traccia su di lui, perché la sua vita è stata temprata dalla mortificazione psico-fisica del lager nazista. Nato a Salonicco il 29 dicembre 1923, Shlomo fu arrestato con la famiglia ad Atene alla fine del marzo 1944. Dopo undici estenuanti giorni trascorsi stipato nel treno in preda ad ogni tipo di stento, approdò insieme a tanti compagni di sventura al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Superò indenne una prima selezione, in cui il 90% dei deportati veniva immediatamente consegnato alla gassazione. Gli uomini del Sonderkommando, l'unità alla quale Shlomo venne assegnato, dovevano accompagnare i gruppi di prigionieri alle camere a gas, li aiutavano a svestirsi, tagliavano i capelli ai cadaveri, estraevano denti d'oro, recuperavano oggetti e indumenti negli spogliatoi. Ma soprattutto si occupavano di trasportare nei forni crematori i corpi delle vittime.
"Sonderkommando Auschwitz" di Shlomo Venezia, edito da Rizzoli con prefazione di Walter Veltroni, è la minuziosa ricostruzione dello spietato ciclo della morte che solo ad Auschwitz ha mietuto oltre un milione e trecentomila vittime. Un'onesta e lucida testimonianza per rendere ad esse l'omaggio più nobile: la memoria.
Shlomo, cosa gli ha permesso di ritrovare il sorriso all'indomani della sofferenza che ha patito nel lager?
"Veramente il sorriso non l' ho più trovato, perché i tormenti di quei mesi da prigioniero hanno profondamente segnato il mio carattere e la mia indole. Tutto mi riporta al campo: qualunque cosa faccia, qualunque cosa veda il mio spirito torna sempre nello stesso posto. Non riesce a uscire mai, per davvero, dal Crematorio. Negli anni successivi ho sofferto molto psicologicamente. È stata una fortuna trovare degli affetti, soprattutto incontrare Marika, mia moglie, che mi ha dato una ragione per continuare a vivere".
So che lei è tornato poi diverse volte ad Auschwitz, accompagnando centinaia di studenti in viaggio d'istruzione. Qual è l'immagine che le balza subito in mente rivedendo i luoghi dello sterminio?
"Certamente mia madre. Mi rimane ancora ben impresso il suo volto. Appena il treno è giunto a destinazione, i nazisti hanno iniziato a percuoterci ferocemente con i loro bastoni. Rimasi stordito per qualche istante prima di rendermi conto di ciò che stava accadendo. Poi provai a girarmi, ma non la vidi più".
Lei, Shlomo, è credente?
"Sì, sono credente".
Si è mai chiesto dov'era Dio mentre si consumava questo scempio?
"Più che a Dio, ho pensato tanto all'uomo. Mentre svolgevo le mansioni del Sonderkommando, mi soffermavo a scrutare l'espressione dei funzionari nazisti. Crudele certo, ma era pur sempre umana. Erano pur sempre uomini e avranno avuto pure una famiglia. Avrei voluto proprio vedere con che faccia, tornando a casa alla sera, abbracciavano i loro figli, sorridevano alle loro mogli e portavano avanti quella lurida esistenza. Possibile che la follia diabolica di uno solo, Hitler, abbia sedotto e conquistato un popolo intero, seminando in poco tempo così tanto odio e razzismo e dando vita a una gerarchia sterminata con un sofisticato impianto di messa a morte?"
"Ricordare per non dimenticare", un augurio che abbiamo sentito tante volte. Ma nella società di oggi, dominata dal relativismo culturale e dalla ricerca edonistica più sfrenata, come pensa che questo messaggio possa fare breccia attecchire nella consapevolezza dei giovani?
"Ho fiducia nelle nuove generazioni. Certo, non sarà semplice, nella logica del profitto e del divertimento facile, riuscire a trasmettere il significato di questa esperienza, di fronte alla quale la vita di tutti i giorni è una tremenda banalità. Ma sono convinto che ci siano tanti giovani maturi e sensibili che vogliono custodire l'autenticità di questo insegnamento. Qui a Rimini ne ho trovati tanti."
Come è stata accolta la sua testimonianza dalle istituzioni?
"In maniera non univoca, purtroppo. E per quello che ha combinato il fascismo nella stessa Italia, non mi aspettavo di trovare certe forze politiche chiuse ancora in questa aberrante ideologia. Come se avessero continuamente qualcosa da nascondere o da negare. Vorrei proprio portarli con me e fargli toccare con mano le baracche, le camere a gas e quant'altro, affinché riflettano sull'assurdità nella difesa di certe posizioni. Ma sono contento lo stesso, perché la maggior parte mi ha ricevuto con grande entusiasmo, come il Presidente Napolitano, che mi ha conferito l'onorificenza di Ufficiale della Repubblica Italiana".
Primo Levi scrisse al ritorno da Auschwitz: "Ora abbiamo ritrovato la casa/ il nostro ventre è sazio/ abbiamo finito di raccontare". Secondo lei cosa intendeva dire?
"Il suo sembra una sorta di testamento spirituale, che solo chi ha vissuto quell'abiezione può capire fino in fondo. È una sensazione di profonda frustrazione, che non ti dà tregua nel corso della vita, perché ti rincorre come un incubo. La libertà ritrovata non riesce ad affrancarti dagli orrori sofferti. Essere sopravvissuti a un campo di sterminio è una cosa straordinaria. Ma la banalità nella quale ti trovi immerso dopo non regge all'urto con quella realtà. Levi lo sapeva bene e ha patito tanto questo stridore con strascichi psicologici che lo portarono poi al suicidio".
Grazie davvero Shlomo. Le sue parole conservano ardente un grande amore per la vita e costituiscono, soprattutto per noi giovani, uno straordinario stimolo a vivere tutto con coraggio, senza lasciarsi schiacciare dalle circostanze, sia pur dolorose, che la vita riserva ad ognuno di noi.

Federico Polverelli - Articolo tratto da la Voce di Rimini del 18 dicembre 2007

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