Recensione de "Il rogo di Berlino" (Helga Schneider)

Il rogo di Berlino 
di Helga Schneider

'Il rogo di Berlino" di Helga Schneider è un romanzo autobiografico che ripercorre la vita dell'autrice durante la Seconda Guerra Mondiale dall'autunno del 1941 alla primavera del 1947, secondo un ordine cronologico, ad esclusione delle primissime pagine che riguardano la primavera del 1971. Il linguaggio è pressoché semplice e di facile comprensione. Il romanzo è ambientato per la maggior parte a Berlino. Nella città la situazione è tragica: Berlino è distrutta dai bombardamenti, le persone vivono in condizioni igieniche estreme, non hanno cibo sufficiente per sfamarsi, anche l'acqua è pochissima. Inoltre la loro vita è appesa ad un filo: uscire dai rifugi alla ricerca di cibo e acqua comporta la messa a rischio della propria vita. In seguito, con l'arrivo dei russi la situazione peggiorerà, perché i russi cominceranno a saccheggiare i rifugi, a violentare donne e bambine,... L'infanzia di Helga trascorre in questo clima di guerra all'interno di una sorta di buia e malsana cantina insieme al fratello Peter, la matrigna Ursula, il nonno acquisito Opa e altri inquilini del palazzo. Oltre alla dura situazione a cui la guerra l'ha costretta, Helga non vive relazioni serene né con il fratello, né con la matrigna. Ursula, infatti, la tratta in modo distaccato, duro, repressivo, cerca di allontanarla da sé e dal fratello mandandola in alcuni collegi per bambini con handicap. Helga non riconosce Ursula come madre ed aspetta, invano, il ritorno della madre naturale; anche il rapporto con il fratello non è dei migliori: Peter è molto affezionato ad Ursula, la chiama addirittura "mamma", e cerca di far ingelosire Helga per questo ma, allo stesso tempo, vuole con tutti i mezzi metterla in cattiva luce davanti agli occhi della matrigna. Opa è l'unico con il quale Helga instaura un buon rapporto. Il nonno acquisito, infatti, la difende davanti ai duri rimproveri di Ursula, la incoraggia a crescere, ad avere fiducia nella vita, a sperare, a continuare a vivere nonostante la situazione precaria, inumana in cui ella vive. Una situazione in cui niente incoraggia ad andare avanti perché nel futuro non si vedono barlumi di speranze, certezze, ma soltanto morte, dolore, rovina e distruzione. La protagonista si sente sola, abbandonata in un mondo ormai in disfacimento. Il padre è in guerra e ha affidato Helga e Peter alle cure della sua nuova compagna Ursula. La madre naturale, infatti, ha abbandonato i figli per ricoprire il ruolo di SS in un campo di concentramento, lasciando l'intera famiglia in balia della guerra per seguire i suoi ideali nazisti. In un primo momento, Helga manifesta la sua tristezza per l'assenza della madre e spera invano nel suo ritorno, ma con il tempo capirà il suo tradimento. Dopo una lunga serie di tragici avvenimenti legati agli orrori della guerra che segneranno per sempre la vita della giovane Helga, la fine della guerra, con la sconfitta dei tedeschi e la vittoria degli alleati, la porterà ad un progressivo avvicinamento con la matrigna, con la quale andrà a vivere assieme al fratello e al padre. Quest'ultimo intanto è tornato dal fronte ma Helga non è riuscita ad instaurare con lui quel rapporto di complicità che sperava; anzi il padre le è più che mai distaccato. Marginale è nel testo la presenza del tema dell'olocausto: gli unici riferimenti ai campi di concentramento sono menzionati da alcuni adulti, che manifestano il loro disprezzo ed il loro astio verso gli ebrei, oltre al fatto che la madre è arruolata come 55. Importante è la figura di Hitler: per esempio in Peter abbiamo una profonda stima verso il dittatore, oserei dire un'adulazione, che si manifesta più volte nel corso della narrazione. Hitler diventa per il bambino un mito, una sorta di dio, da imitare in tutto e per tutto. Una delle cose che mi ha colpito maggiormente è stato l'incontro tra Hitler e i due fratelli nel bunker. Prima dell'incontro, Helga immagina il dittatore come una persona dall'aspetto tipicamente tedesco, dall'aria autorevole, un uomo da temere e da rispettare profondamente. In realtà, quando Helga se lo ritroverà di fronte non troverà più nessuna corrispondenza con l'Hitler che aveva idealizzato nella sua mente. La bambina non vedrà in lui una figura spregevole, ma lo descrive invece come un vecchio dai movimenti stentati, malaticcio, di presenza sgradevole, ma con uno strano luccichio negli occhi. Fisicamente non ha caratteristiche ariane: il suo volto sciupato è di un colorito grigiastro ed è di statura bassa. L'unica cosa che lo rendeva autorevole erano i baffi e la sua appariscente divisa militare. Proprio per questo motivo mi chiedo come Hitler possa aver organizzato la persecuzione in massa degli ebrei e abbia potuto esaltare al limite la razza ariana come superiore a tutte le altre, quando lui stesso di ariano non aveva proprio niente. I suoi ideali certo non avevano un evidente riscontro nella sua persona. Sicuramente aveva un carattere molto forte, con manie di grandezza, potenza, gloria, ad ogni modo ciò non giustifica la sua politica aggressiva e repressiva. Un altro fatto che mi ha colpito è l'abbandono dei figli da parte della madre per diventare 55. Mi è difficile pensare che una madre possa lasciare i propri figli per seguire ideali come quelli nazisti e farne una ragione di vita. Ancora più sconcertante è l'incontro avvenuto nel 1971 tra Helga e la madre. Helga è diventata una donna, si è sposata e ha avuto un figlio. Nel 1971 decide di andare a trovare la madre assieme al figlio: è speranzosa, sono anni che non vede più la madre. Tuttavia riceve per l'ennesima volta una grande delusione: dopo un breve scambio di parole tra le due, la ex 55 mostra entusiasticamente alla figlia la sua divisa... In Helga si rompe quel sottilissimo filo di speranza che la legava ancora alla madre. Capisce che la madre non è cambiata, è rimasta fedele agli ideali nazisti e, cosa ancor più peggiore, non si è posta neanche per un momento il problema di come la figlia si senta e come abbia fatto a superare la dura situazione della guerra. Sembra che il passato e il destino della figlia non le interessi, ciò che conta è perseguire il proprio infondato, vuoto, insignificante, ma esaltante credo nazista. Giunta a questo punto Helga, raggelata, non può far altro che allontanarsi nuovamente, e stavolta per sempre, dalla madre. Infatti, la fine del Terzo Reich, la conseguente caduta del nazismo e la sua condanna a sei anni di carcere come criminale di guerra impostagli dal Tribunale di Norimberga, non sono stati sufficienti per distoglierla dalla sua fedele devozione. Lo dimostra il fatto che la donna, nostalgica, mostra la sua uniforme e incita la figlia a provarsela. Ancor più sconvolgente è la frase che pronuncia e che fa restare Helga annichilita: «Co/ nazismo ero qualcuno, dopo non sono stata più niente».

Recensione di Bartolini Sara