Elaborato studenti viaggio 2013: Alfabeto minimo del nazismo e della deportazione

A cura degli studenti che hanno partecipato al viaggio studio in Germania (Dachau e Norimberga)
5-8 maggio 2013
Progetto Educazione alla Memoria: Credere, odiare, resistere, vivere sotto la dittatura fascista e nazista 1922-1945
(a.s. 2012-2013)

Lavorare sulle parole-chiave e le rappresentazioni della storia
Durante il seminario di studio di questo anno scolastico, abbiamo riflettuto molto insieme agli studenti e alle studentesse del Progetto Educazione alla Memoria su come sia possibile tentare di descrivere il fenomeno del nazionalsocialismo, con tutte le sue tragiche implicazioni, attraverso parole-chiave ( Schlagwörter in tedesco),ovvero mediante lemmi capaci di esprimere contenuti significativi e importanti per quel determinato periodo storico. Analizzando filmati, documenti e immagini dell’epoca –dunque avvicinandoci alla storia attraverso un uso critico delle fonti –èemerso come una parte delle parole-chiave individuate dagli studenti corrispondessero in realtàagli stessi termini utilizzati in maniera martellante e persuasiva dal regime nazista (per esempio Volk, razza, ebreo, Führer, ecc) allo scopo di modellare, piegare, manipolare gli intelletti e le coscienze. Un’ipotesi confermata anche dalla lezione svolta sul tema della lingua nazista, ovvero quali strategie retoriche e sintattiche il regime hitleriano ha utilizzato per trasformare la lingua tedesca in una lingua a immagine e somiglianza di un programma politico votato alla violenza e alla morte. Questa coincidenza lessicale tra le Schlagwörter di ieri e di oggi ci ha spinto a riflettere su come anche a distanza di quasi 70 anni dalla fine del nazismo, alcuni vocaboli rimangano segnati per sempre, cioè fortemente legati a una connotazione impressa dall’ideologia dell’epoca, –il filologo tedesco Viktor Klemperer direbbe “parole avvelenate dal nazismo e non piùinnocenti”. In sostanza, le parole-chiave su cui abbiamo lavorato con questi adolescenti si sono rivelate talmente ricche di potere evocativo e simbologia, da essere immediatamente conosciute o ri-conosciute come parole decisive per descrivere il nazismo dalla maggior parte dei ragazzi e delle ragazze del nostro progetto.

Dalle parole-chiave all’esercizio dell’Alfabeto
Tuttavia, durante il viaggio-studio che una rappresentanza di 52 studenti ha avuto la possibilità di effettuare all’ex campo di concentramento di Dachau e alla cittàdi Norimberga, abbiamo proseguito la riflessione e la rielaborazione sul linguaggio e sulle rappresentazioni attuali –dunque sulla memoria –del nazismo con un lavoro di gruppo che abbiamo voluto intitolare “Alfabeto minimo del nazismo e della deportazione”. Per due sere consecutive, dopo intense giornate di lezioni e visite ai luoghi del nazismo, il gruppo è stato coinvolto in un’esercitazione didattica presentata come gioco (“immaginate di dover descrivere con le parole dell’alfabeto che cosa èstato il nazismo a un abitante di Marte”) ma che si èsvolta con grandissimo impegno e serietà peraltro rispettando regole ferree, ma condivise con entusiasmo da tutti (le lettere si sorteggiano; si compongono in maniera del tutto casuale mini gruppi da 3 studenti; e ogni gruppo ha la possibilitàdi scegliere fino a 3 parole corrispondenti alla lettera sorteggiata; le parole devono riferirsi in maniera rigorosa alla storia del nazismo e della deportazione). La nostra idea era quella di stimolare i nostri ragazzi e le nostre ragazze a riflettere bene, dunque a scegliere le parole piùaltamente evocative per il periodo storico studiato per poi procedere ad una definizione accurata, ma spontanea, cioèfrutto di quanto avevano letto, sentito, meditato. “Deve essere il nostro alfabeto, non quello degli altri, siamo noi che decidiamo le lettere e le definizioni”. La prima sera di lavoro, ogni gruppo ha dovuto relazionare pubblicamente all’assemblea la scelta delle proprie parole-chiave, motivandole in maniera da essere convincenti (avevamo studiato le tecniche della propaganda e di costruzione del consenso dei regimi totalitari). Accese discussioni hanno portato in molti casi a cambiare le parole con altre ritenute dalla maggioranza piùevocative o piùgiuste per il contesto. Nella seconda sera di lavoro, invece, gli stessi gruppi hanno lavorato separatamente per redigere le proprie definizioni, con possibilità di consultare una “biblioteca viaggiante” (avevamo portato con noi una selezione di testi utili) o di consultare un educatore, senza però chiedere all’adulto di fornire la definizione. Al termine del lavoro, ogni gruppo ha scritto le proprie lettere e definizioni su un cartellone e tutti i cartelloni insieme sono stati letti e quindi appesi alle pareti della sala per comporre un grande Alfabeto.

Sorprese finali, risultati, aspettative
L’esito e i risultati di questa esercitazione didattica hanno largamente superato le nostre aspettative e, in un certo senso, ci hanno letteralmente spiazzato. Innanzitutto, nel preparare questo lavoro di rielaborazione finale avevamo pensato a un solo abbinamento lettera/parola-chiave. Ma discutendo animatamente tra loro, i ragazzi e le ragazze si sono appassionati al lavoro di redazione, tanto da contestare la scelta minima imposta loro e contrattare per “avere piùparole a disposizione”. Poiché non tutte le lettere sono ugualmente prolifiche nel senso del nostro lavoro (tra l’altro abbiamo tolto le lettere H, Q, W, Z, offrendoci di pensare a queste definizioni piùdifficili) abbiamo concordato di fissare a tre il numero di parole-chiave da abbinare alla lettera sorteggiata. Ma èstato nel momento della comunicazione pubblica che sono arrivate le maggiori sorprese per noi adulti. La consegna affidata ai mini-gruppi (ognuno ha potuto scegliere liberamente un portavoce al suo interno) era quella di rendere persuasiva e convincente la propria scelta, cioèdi motivarla adeguatamente, in modo da riattivare le conoscenze e le esperienze maturate durante tutto l’anno scolastico, al seminario del Progetto Memoria come a scuola. In diverse occasioni alcuni termini proposti sono stati vivacemente contestati e rifiutati dal gruppo, in quanto ritenuti non appropriati al compito affidato (“dobbiamo consegnare questo Alfabeto ideale a qualcuno che non ha la minima idea di che cosa sia stato il nazismo, l’ipotetico abitante di Marte”). Dai dibattiti e dai confronti (ripresi dalla nostra telecamera) sono emerse contrattazioni talvolta laboriose e lunghe sulle migliori parole-chiave da inserire nel vocabolario. Anche al momento della scrittura, cioèdell’abbinamento paroladescrizione, siamo stati piacevolmente sorpresi dalla maturitàe dall’entusiasmo intellettuale con cui tutti –pur nelle loro evidenti diversitàdi esperienze scolastiche, provenienze culturali, capacità–hanno svolto il proprio compito. Spesso, i ragazzi e le ragazze hanno avuto bisogno di confrontarsi con noi adulti, ma non per chiederci aiuto nel formulare la definizione (come ci saremmo forse ingenuamente aspettati) ma, al contrario, per chiederci conferma, diremmo quasi per convincerci che quello che avevano capito era giusto. In tutti gli studenti abbiamo osservato un duplice tentativo di comprendere che cosa è stato il nazismo ma anche di giudicarlo, ovvero di condannarlo mediante un pensiero critico sull’esito tragico di questo fenomeno (attraverso le parole come “memoria”, “testimoniare”, “diritti”, “disumanizzazione”, “silenzio”, ecc).
Abbiamo imparato molto anche noi da questo gruppo di ragazzi e ragazze, spesso commoventi nel loro interesse e nella loro autentica partecipazione: talvolta le cose piùbelle nascono anche per caso e in libertà La maggior parte dei viaggi scolastici ai luoghi della memoria hanno alle spalle una buona preparazione storica che permette ai giovani partecipanti di arrivare alle visite con un bagaglio minimo di conoscenze e domande da porre in gioco. Ma quasi mai, e la nostra lunga esperienza lo dimostra, la riflessione del post-viaggio (la cosiddetta “restituzione”, cioèla riflessione, la tesina, la rielaborazione dei contenuti del viaggio sotto forma di testo, diario, elaborato grafico o filmico) si rivela all’altezza delle aspettative di noi adulti. Perché diciamolo senza timore, il compito a casa non piace per niente ai ragazzi e spesso èinfarcito di banalizzazioni. Questa volta abbiamo provato a invertire la tendenza senza nessuna pretesa di creare un elaborato migliore degli altri. E invece, nella sua semplicitàassoluta e consapevoli di come èstato realizzato questo nostro piccolo Alfabeto ci rende molto orgogliosi, ma soprattutto ci conferma che i giovani possono darci molto se solo sappiamo accompagnarli e soprattutto ascoltarli.

Laura Fontana, Fabio Cassanelli, Maria Carla Monti