Credere, odiare, resistere. Vivere sotto la dittatura fascista e nazista 1922-1945

Seminario di formazione per studenti delle scuole secondarie di secondo grado di Rimini
24 ottobre 2012 - 8 maggio 2013 ore 15, Sala del Giudizio (Museo della Città) o Cineteca Comunale, Rimini 

 

 

Attività per l'anno scolastico 2012/2013

In memoria di Shlomo Venezia



“Odio gli indifferenti.(…) L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. (…) Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? “
Antonio Gramsci, 11 febbraio 1917

Il titolo del progetto di quest’ anno riprende, riformulandolo, il celebre motto fascista “credere, obbedire, combattere”, e una citazione famosa di Antonio Gramsci sull’indifferenza come male della società e come abdicazione della ragione e della volontà. Nessuna dittatura, nemmeno la più feroce, riuscirebbe a creare solamente a un mito di superiorità razziale che eleva una parte della comunità a signori della terra mentre ne demonizza un'altra trasformandola in nemico da distruggere.
Occorre mettere in atto una combinazione di mezzi e strumenti molto più complessi, come ad esempio l'uso delle immagini e della lingua  attraverso la propaganda, il culto del capo-salvatore della nazione, il controllo dei mezzi di informazione e dell’organizzazione del tempo libero.
Bisogna prima consolidare il consenso e convincere la popolazione che il nuovo modello di governo (ovviamente non definito “dittatura”) è l’unico in grado di tutelare gli interessi della nazione e ripristinare l’ordine. Formare, dunque, un popolo compatto e fedele, pronto a sacrificarsi per un ideale più alto e per il bene della patria, disposto a non pensare e a non scegliere perché per lui sceglie il capo.
Solo in un secondo momento è possibile mobilitare la massa contro un nemico comune e soffiare sul vento del razzismo e dell’antisemitismoHitler arriva al potere nel 1933 con un programma politico in cui l’espulsione e l’isolamento degli ebrei figurano tra le priorità per la Germania, obiettivi che si traducono rapidamente nella messa in atto di misure di emarginazione e di persecuzione. Tuttavia, il progetto di sterminio, di eliminazione fisica del “nemico” ebreo richiede un tempo di preparazione più lungo perché prenderà il via dal settembre 1939 con lo scoppio della guerra. Non perché sia difficile organizzare l’uccisione di milioni di persone, ma perché occorre presentare il genocidio come “un male necessario per il bene comune”, dunque renderlo accettabile e condivisibile, se non altro passivamente, dalla popolazione tedesca.
Mussolini, invece, mantiene per anni un atteggiamento ambiguo nei confronti degli ebrei, per mutare rotta nel 1936 fino a varare nel 1938 una delle legislazioni antisemite più meticolose della storia europea, superando in diversi ambiti anche l’alleato tedesco. L’Italia si scopre razzista e antisemita e accoglie con indifferenza, o comunque senza troppa resistenza, la promulgazione di una serie di misure persecutorie che privano i cittadini italiani di origine ebraica di ogni diritto, li relegano ai margini della società e li trasformano con una propaganda martellante e persuasiva in esseri indesiderati e in nemici. Dopo l’8 settembre 1943 e la rottura dell’Asse Roma Berlino, le istituzioni e una parte della popolazione italiana collaborano attivamente con i tedeschi nella caccia all’ebreo e nelle operazioni di deportazione verso Auschwitz.
Come si fa, allora, ad opporsi e a prendere le distanze da un’ideologia forte e persuasiva? A resistere all’omologazione, alla dittatura, alla violenza? Ma soprattutto, come si fa a rompere il silenzio della complicità e il muro dell’indifferenza, a disobbedire alla legge che ordina di discriminare e di perseguitare, a prestare soccorso ai perseguitati? In sintesi, come si fa a scegliere il bene e ad agire con responsabilità politica e morale?
E tutto questo, che significato ha per noi oggi che viviamo in una società in cui i valori di democrazia, diritti umani e libertà vengono violati e ignorati ogni giorno?
Possiamo imparare qualcosa dalla lezione di storia?

Laura Fontana
Responsabile Progetto Educazione alla Memoria

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