Comprendere i genocidi del XX secolo. Soppravvivere, testimoniare, scrivere
Parafrasando L’écriture ou la vie (La scrittura o la vita), titolo di un noto libro di Jorge Semprùn, deportato a Buchenwald nel 1944 come repubblicano spagnolo, intendiamo affrontare il tema della Shoah e dei genocidi del XX secolo, scegliendo come filo conduttore quello della letteratura, nei suoi diversi aspetti di scrittura di sé, rielaborazione della memoria, testimonianza, denuncia, finzione narrativa. « Seul l’art a le pouvoir de sortir la souffrance de l’abîme » (solo l’arte ha il potere di far uscire la sofferenza dall’abisso), scrive Aharon Appelfeld, uno dei massimi scrittori israeliani contemporanei, il quale sostiene da sempre l’importanza e il valore della letteratura come il mezzo più efficace per trasmettere la storia.
Oggi, a distanza di oltre 60 anni dall’apertura dei cancelli di Auschwitz e degli altri luoghi di prigionia e di morte di milioni di persone, siamo anche di fronte alla scomparsa inesorabile degli ultimi sopravvissuti. Quando l’ultimo testimone vivente della Shoah sarà scomparso, come trasmetteremo la memoria di quanto accaduto ai nostri giovani? Rimarranno certo la storia, dalla quale attingere conoscenza e informazioni sul massacro e sui crimini commessi, ma la storia si traduce in memoria solo quando assume un significato e un’urgenza per la comprensione del presente. Altrimenti, anche la storia della Shoah verrà inevitabilmente inglobata nel tempo del passato remoto, in cui, tanto per fare un esempio, la storia delle Crociate avrà per i giovani studenti lo stesso significato delle guerre mondiali. Solo la letteratura, allora, e in senso più generale l’arte, sarà in grado di trasmettere efficacemente la memoria del passato. La letteratura ha la capacità di interpretare e mettere a nudo non tanto i fatti e le azioni, ma soprattutto le sfumature più complesse e ambivalenti dell’animo umano. Il progetto educativo proposto per l’anno scolastico 2008-2009 intende coinvolgere gli studenti e le studentesse in un’analisi e una riflessione sulle molteplici forme di scrittura prodotte dai sopravvissuti alla Shoah e, più in generale, ai genocidi e massacri di massa del XX secolo.Il Novecento, lacerato da due conflitti mondiali tra i più distruttivi della storia, ha visto la tragica affermazione di regimi totalitari come il fascismo, il nazionalsocialismo, il comunismo, regimi che si sono violentemente opposti, sul terreno dell'ideologia e poi sui campi di battaglia. E’ stato il secolo dei gulag, dei lager, di Auschwitz e di Hiroshima, della distruzione totale, dei genocidi di almeno 4 popoli (gli Herero in Namibia, gli Armeni, gli Ebrei e i Tutsi in Ruanda), nonché di innumerevoli altri massacri, di cui uno compiuto alle porte di casa nostra, quello di Szrebrenica nella ex Jugoslavia, ai danni dei musulmani di Bosnia.
Come è possibile sopravvivere all’orrore e raccontare un’esperienza tanto tragica da risultare indicibile? Con quale linguaggio, quale forma narrativa? E come far comprendere a chi non ha vissuto tale esperienza cosa sia stato Auschwitz, paradigma di tutti i genocidi? Scrive sempre Appelfeld: «Non che l'esperienza vissuta sia indicibile. È caso mai invivibile, che è tutt'altra cosa, e si capisce. È qualcosa che non riguarda la forma di un racconto possibile, ma la sua sostanza. Non tanto la sua articolazione quanto la sua densità. Soltanto coloro che sapranno fare della loro testimonianza un oggetto artistico, uno spazio di creazione, o di ricreazione, riusciranno a raggiungere questa sostanza, questa densità trasparente. Soltanto l'artificio di un racconto abilmente condotto riuscirà a trasmettere in parte la verità della testimonianza».
Il seminario, articolato in otto incontri, dei quali alcuni anche a carattere interattivo e laboratoriale, avrà lo scopo di aiutare gli studenti a conoscere, dal punto di vista storico, i principali casi di genocidio avvenuti nel corso del ‘900, sapendo collocare ogni fenomeno nello spazio, nel tempo e nel contesto politico in cui si è verificato. Particolare attenzione verrà posta nel sensibilizzare i ragazzi all’uso corretto della terminologia per definire eventi storici simili - laddove si parla di crimini di massa contro l’umanità (genocidio, massacro, pulizia etnica) - ma, di fatto, profondamente diversi per la natura storica e politica che li contraddistingue. Comparare e differenziare è uno dei metodi di cui la storia si dota per indagare i fatti del passato, che nulla ha in comune con tentativi di revisionismo o, meno ancora, di gerarchia delle vittime in base ai numeri o all’orrore prodotto. Pur privilegiando l’approccio storico del tema dei genocidi, rimane centrale l’intento educativo del progetto che aspira a problematizzare e attualizzare i temi proposti. Conoscere e indagare la storia dei genocidi del XX secolo ha senso non solo per un dovere di memoria o di pietas umana per le vittime innocenti, ma l’analisi del passato deve aprirsi a una riflessione collettiva sul nostro presente, sul significato dei diritti umani in una società sempre più multietnica e lacerata da razzismi e intolleranze. Una società in cui la tecnologia, l’industria, la divisione del lavoro, la produttività esasperata sembrano aver sostituito l’etica dei valori con una visione della vita utilitaristica e funzionale, in cui l’individuo tende a omologarsi e a delegare ad altri le proprie scelte e responsabilità. Conoscere la storia dei crimini contro l’umanità non rende automaticamente i giovani “brave persone”, vaccinate contro l’odio, la violenza e il razzismo, ma può aiutarli ad assumere consapevolezza sull’importanza di tenere viva la memoria e, soprattutto, sull’importanza di essere protagonisti e responsabili fino in fondo della propria vita.