Viaggio studio a Varsavia e a Lublino Majdanek 8-12 ottbre 2019
Abbiamo ritenuto importante riportare i "pensieri sparsi" che i ragazzi hanno raccolto su un quaderno messo a loro disposizione durante il viaggio. Alcuni ragazzi hanno preferito non firmare le proprie riflessioni.
Trovo affascinate come le cose cambino a seconda dei punti di vista.
Una cosa come la primavera, che ad alcuni potrebbe sembrare un evento banale, nasconde in sè una potenza simbolica strepitosa. Nella rivoluzione del Ghetto di Varsavia ha un ruolo importante come è sottolineato dal narcisio di Marek Edelman; ma anche Primo Levi parla dell'arrivo del sole nel campo in Se questo è un uomo. Mi piace come entrambi in modo diverso e in situazioni diverse abbiano tratto forza dalla rinascita della natura.
Elena Ricci
Un anno fa ho "assemblato" delle parole che mi sono tornate in mente in questi giorni...
Dono meritato,
Dono rubato,
infangato, raschiato, disprezzato o
sopravvalutato. Una possibilità:
coglila.
Il dono è la vita (per me).
[A Varsavia si respira vita e morte. La città nuova mi ha quasi soffocato il primo giorno di visita: pur essendo così spaziosa, pur sviluppandosi in larghezza ed in altezza, mi ha fatto sentire schiacciata. La sua frenesia, il suo dinamismo mi hanno oppresso (ho apprezzato moltissimo le aree verdi). Forse questa sensazione è derivata anche dalla consapevolezza di ciò che è accaduto lì dove ore c'è un'ampia strada o un muro diroccato. Cerano vite, palazzi, storie e vicoli, diversi ma altrettanto importanti, fondamentali.
La Varsavia vecchia invece mi ha permesso di respirare. E' apparsa magica questa città la sera: colorata, "calda", attiva. E' stata un'esplosione diversa, non c'era qualcuno che ptesse spiegarmi il perché di ciò che vedevo - un male e un bene forse, ma non ne sono certa.]
La vita è un dono che nessuno ha il diritto di distruggere, manipolare, annientare. Perché si è avuta e si ha ancora la presunzione di potere disporre di quel di chi ci sta attorno?
Dev'essere orribile arrivare al punto in cui dimenticare la tua identità è l'unica possibilità di salvezza che rimane. Trivarti a rifiutare te stesso e ripudiare ciò che eri, ciò che sei, pur di scampare alla morte.
(dopo la visione di "Corri ragazzo, corri")
Ragazzi ieri sera abbiamo appurato che il mezzo più potente per combattere l'ingiustizia, nel nostro piccolo, sia la PAROLA. Io credo fortemente nell'enorme potenziale di quest'ultima, e cerco di fare del mio meglio per sfruttarla; perché p vero che stare zitti è comodo e talvolta meno doloroso, ma stando zitti ci si annulla completamente. Per questo motivo, è con il cuore che mi sento di farvi un augurio. Vi auguro di trovare il coraggio di non stare zitti mai quando vi trovate davanti ad un'ingiustizia (che non significa necessariamente vendere con i propri occhi; basta esserne a conoscenza). Parlate sempre di ciò che pensate, ogni volta che ne avete l'occasione.
Non importa se sono temi scomodi, non importa se avete la consapevolezza di avere davanti persone poco tolleranti, o con le quali sapete di essere in contrasto. Non abbiate paura mai e avrete in mano il potere più grande.
In questi giorni ho potuto riflettere sull’importanza di due parole RICORDO e MEMORIA entrambe legate alla storia della Shoah e fondamentali per capire cosa un ragazzo come noi può fare.
Dopo che i testimoni oculari non ci saranno più toccherà ad altre persone tramandare il ricordo e la storia degli ebrei e chi saprà dovrà combattere contro i negazionisti per non far diventare il massacro degli ebrei una storia inventata. Credo inoltre sia fondamentale il compito di tenere viva la memoria delle vittime dimenticate come i 227 italiani di Majdanek, che se non fosse stato per i professori e gli studenti tornate per studiare gli archivi e si sarebbero rimasti solo un numero su un foglio di carta negli archivi tedeschi.
Quindi noi possiamo non essere più “spettatori” anche solo parlando ai nostri amici di questo viaggio e tramandare a loro tutti gli insegnamenti che abbiamo ricevuto in 5 giorni.
Questo viaggio mi ha fatto riflettere su tante cose... Principalmente sul fatto che così tante persone hanno sofferto, tutte nello stesso momento e nello stesso posto. Il dolore non si può immaginare, ma oggi ho sentito il dolore di quelle povere persone: l'ho sentito nel silenzio, è una sensazione che non avevo provato fino ad ora; era un silenzio pieno, pieno di ricordo.
È importante ricordare la storia perché sennò non si può creare il futuro. Quest'esperienza mi ha fatto scoprire una parte di me che non conoscevo, ringrazio vivamente tutti coloro che l'hanno resa speciale.
Siamo arrivati di martedì.
Ho sentito il freddo pervadermi la faccia. Invadermi con forza la bocca. Salirmi lungo le gambe ed entrarmi nella giacca.
Ho guardato attraverso la cieca nebbia e ho respirato il gelo.
Ho udito gli echi degli spari e delle urla.
Ho sentito l'odore della carne bruciata.
Ho provato curiosità mista al disgusto.
Ho odiato l'erba che cresce indifferente sulle tombe.
Ho pensato a lungo, rigirandomi le stesse domande tra le dita più volte.
Ho visto il dolore da lontano.
Ma l'ho visto.
Tra i muri, gli alberi, i sospiri.
A volte mi capita di pensare al futuro, ed in particolare in questi giorni mi è tornata alla mente un'intervista di Liliana Segre dove racconta la sua storia di sopravvissuta ad Auschwitz. Esattamente come lei, anch'io ho paura che un giorno queste storie vengano dimenticate. La nostra generazione ha potuto vedere i volti, ascoltare le parole dei pochi testimoni rimasti in vita, ma i nostri figli non avranno la stessa opportunità. Chi penserà a loro?
Inizialmente io non sarei dovuta essere qui, ero una riserva, perché il numero dei partecipanti della nostra scuola era solo 3. Avevo appena vinto la gara quando mi è arrivato il messaggio: “Brizzi, prepara le valige parti anche tu”.
Quella felicità era superiore rispetto a quelle mai provate. La felicità di poter CONOSCERE per CRESCERE mi ha pervaso e mi ricordo di aver iniziato a saltare e gridare, dicendo a chiunque “Vado in Polonia”.
Il viaggio poi è arrivato in un lampo, come se me ne fossi dimenticata. Non sapevo cosa aspettarmi, non avevo ambizioni precise o informazioni chiare, volevo VIVERE!!
Così ho fatto; non ho messo maschere, tipico della società attuale; mi sono fatta trasportare dalle EMOZIONI, così da poter dire tutto ciò che pensavo e che spesso nella vita attuale non abbiamo l’opportunità di esprimere. I sono potuta confrontare con ragazzi della mia età, interessati agli stessi argomenti e mi è piaciuto, alcune volte, essere in disaccordo con loro, avere idee diverse, così che il dibattito si potesse allargare maggiormente.
Mi è piaciuto anche poter fare nuove amicizie: Ilaria, Elisa, Angelica sono le ragazze con cui maggiormente ho legato, difficile per me visto che spesso “mi chiudo a riccio”.
Grazie quindi a tutti i compagni di viaggio, ma grazie soprattutto a Laura, un pozzo di sapere dalla quale avrei voluto sapere ancora di più; grazie Elena, la tua allegria è contagiosa; grazie Emi, che sei riuscito attraverso la redazione a farmi esprimere con la fotografia, una mia grande passione a volte sottovalutata; grazie Fabio, anche tu fonte di sapere senza il quale non sarei riuscita a confrontarmi anche con le mie idee/pensieri.
GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE
Arianna Brizzi
Allora, cominciamo dall'inizio; siamo partiti non solo con lo scopo di ricordare le vittime, ma anche per fare in modo che certi eventi non accadano più. Come prima cosa a causa del pregiudizio sono iniziate le persecuzioni e non mi riferisco solo al nazismo ma anche altre forme come il razzismo.
Dunque secondo me si dovrebbe evitare pregiudizio perché è da lì che scaturisce tutto.
Nabil Chowdhury
Entrando nel campo di Majdanek ho pensato a tutte le persone che in passato hanno camminato dove camminavo io in quel momento, ho pensato alle loro mogli e ai figli che gli hanno strappato, poi ho pensato alla mia famiglia e mi sono resa conto di quanto poco si apprezzano le piccole cose: l’abbraccio di una madre che ti ama più della sua stessa vita, due risate con un fratello che ti mette sempre al primo posto, la sorellina che ti chiede aiuto per i compiti...
I bambini di quelle persone non hanno avuto la possibilità di crescere, di divertirsi ma soprattutto di innamorarsi della vita.
Sì, esattamente, bisogna INNAMORARSI DELLA VITA, dobbiamo dare il valore alla vita che avrebbero voluto dare loro, dobbiamo dare la nostra voce per chi non può più e non dobbiamo mai dimenticare, non si può dimenticare qualcosa che ha toccato milioni di vite umane la cui unica "colpa" era essere se stessi.
Non possiamo rimanere indifferenti.
Dobbiamo essere curiosi e non fermarci finché esisteranno cose da imparare.
Di tutto questo viaggio la parte che più mi ispirava prima di partire era quella del campo di concentramento. Sono molto affascinata dal vedere nel concreto le abitudini, le sofferenze di chi è stato un deportato: ero dunque sicura che avrei provato una forte angoscia e agonia nel visitare Majdanek, ma al contempo sapevo sarebbero state emozioni che mi avrebbero fatta crescere. Paradossalmente, non ho provato nulla di quello che mi aspettavo di provare. Uscita dal campo ero felice. Non sapevo nemmeno spiegarmi perché. Ovviamente di fronte a quelle che erano camere a gas non si può rimanere tranquilli; ero scossa e ovattata. Ma ragionandoci su ho in qualche modo percepito la forza che quel posto emanava. Non immagino più le persone che non avevano nemmeno la forza di alzarsi, logore loro come i loro vestiti. Mi sono concentrata sullo spirito di sopravvivenza che ogni essere umano (ogni animale) sfodera quando ne ha davvero bisogno. Ed è in questi momenti che davvero si capisce la futilità della maggior parte delle cose che ci circondano, e allo stesso modo l'importanza delle cose che ci rendono esseri umani veri: la fratellanza, l'aiuto reciproco, il rispetto.
Pensieri sparsi
Non ho un gran testo da scrivere, anche perché non sono mai stata brava a parlare, volevo solo ringraziare per tutte le sensazioni che ho potuto provare grazie a questo viaggio. Io non lo definirei un brutto o bel viaggio, questa è un'esperienza importantissima. Dico la verità, il campo di Majdanek inizialmente non mi ha colpito. Più che altro perché non riesco nemmeno ad immaginare che si possa essere privati della vita e della propria libertà perché si è nati; ma poi vedendo le stanze piene di scarpe ho iniziato anche a sentirmi quasi oppressa da quel luogo che ora brulica di verde; i forni crematori mi hanno provocato ansia tanto che volevo vedere tutto e leggere le informazioni per intero ma volevo uscire assolutamente. So che tutto ciò è successo, ma non riesco a capire come sia potuto succedere, non riesco davvero a capacitarmi che in quel singolo luogo siano morte 60.000 persone. In merito al discorso di ieri dove ci chiedevamo chi potesse essere vittima o carnefice io non la vedevo così, per me la vittima non è vittima fino a che egli stesso non si definisce tale, il carnefice invece si definisce tale nei confronti del suo "livello" di conoscenza, c'è sempre una scelta da poter fare. A tutto questo ci sono arrivata ok pensando, ma non sono al 100% sicura che sarei riuscita a farmi un'idea mia senza aver provato certe sensazioni che solo con questo viaggio avrei potuto provare, quindi il senso di tutti questi pensieri sparsi messi a caso su questo foglio e dire Grazie. Davvero, grazie per tutto.
p.s. Questa statua/tomba mi è piaciuta tantissimo per l'idea che c'è dietro, ma ora stiamo atterrando a Bologna quindi l'ho fatta un po' velocemente, spero si capisca.
Da Majdanek porto a casa tante cose. Da Majdanek porto a casa il vento, i corvi e l'erba troppo verde che mai mi sarei aspettata. Da Majdanek porto a casa l'odore del legno nelle baracche, le scarpe delle vittime dei centri di sterminio e gli occhi lucidi davanti alla storia dei deportati.
Mi porto a casa la fatica, il mare alla schiena, alle spalle e alla gola. Mi porto a casa la memoria di un luogo. Da Majdanek porto il ricordo di stalle per cavalli, di momenti commemorativi e della solitudine che mi ha trasmesso il luogo. Anzi, non è solitudine, è malinconia e impotenza.
Da Majdanek porto a casa Maria Bielicka-Szczepanska, Ema Kozlowska, Lucinda Ossonska, Bromia Zysman e Tadeus Kosibocvicz, vittime innocenti accusate di esistere.
Mi porto a casa la mossa allo stomaco provocata vedendo i forni crematori. La rabbia provata nel capire, comprendere che questa era realtà, rabbia nel ricordare l'ingiustizia avvenuta in questo luogo. Da Majdanek porta a casa la memoria di 227 soldati italiani, diventati vittime anche casualmente. Mi porto il ricordo della loro esistenza. Sono rimasta veramente sorpresa dalla scoperta di come i loro nomi, le loro identità e i loro volti siano stati svelati alla storia ovvero grazie a ragazzi della nostra età con i loro professori che sono riusciti a portare alla luce un pezzo della nostra storia.
Mi viene in mente Manzoni nella prefazione dei Promessi Sposi, quando dice che la storia è colei che riesce a trarre fuori dall'oblio alcuni eventi salvandoli dall'essere dimenticati. Questi 227 italiani che sono stati trattati come numeri meritavano di avere qualcuno che restituisse loro una identità almeno nell'oltretomba. Da Majdanek porto a casa la consapevolezza totale di cosa significa Non dimenticare. Da Majdanek porto a casa prove dell'umiliazione subita dai prigionieri nel campo. Mi porto a casa le tombe ebree usate per una strada. Porto a casa ogni singola scarpa vista nella baracca: marroni, grande piccole... ma tutte marroni. Sembravano uguali all'inizio ma non lo erano. Da Majdanek porto a casa la scarpina di una bimba uccisa.
"Who lives, who dies, who tells pur story?" Ascoltando questa canzone non posso fare a meno di pensare alla storia della Shoah, del ghetto di Varsavia, degli italiani di Majdanek: chi scriverà la nostra storia? chi la racconterà?
Da Majdanek porto a casa l'incomprensione, Il dolore e la tristezza. L'esistenza dell'Olocausto dovrebbe essere stata accettata da tutti, così come ormai tutti sanno che la terra non è al centro dell'universo.
Da questo viaggio mi porta a casa...
ogni volta alla fine di un viaggio provo un senso di nostalgia, "svuotamento", mi sento pronta, talvolta costretta, a tornare alle vecchie abitudini, mi è naturale pensare che si sia chiuso un capitolo e che se ne debba aprire altri. Questa esperienza non mi ha lasciato quel gusto dolceamaro, non riesco proprio a sentire che qualcosa si sia concluso. Mi sento pronta a tornare a casa con una nuova coscienza, più matura e continuare questo mio viaggio nella Memoria.
Nei miei silenzi e nelle mie parole non dette ci sono molto spesso pensieri, tanti, ed emozioni, diverse, che si affollano nella mia mente. Mi inondano, a volte mi soffocano.
Anche se può sembrare strano sono grata per questo perché sento di essere umana, di essere viva ... e quando poi riesco a riprendere fiato mi rendo conto di quanto le emozioni siano necessarie e di quanto sia giusto emozionarsi perché ciò che deve spaventare davvero e l'apatia, indifferenza e non tanto, invece, il dolore, lo strazio, lo sdegno.
Di fronte al "disumano" serve ancora di più l'umanità. Quando sento dire non mi tocca, non piango mai, la sensibilità non fa per me, penso alle bugie più grandi o alla tristezza più profonda. Non possiamo più pensare all'emozione come ad una debolezza perché in realtà è sempre stata ed è la nostra forza.
Grazie, vi voglio bene. VI AMO.