Dal 22 al 25 aprile 2018 un gruppo di 53 studenti delle scuole secondarie di secondo grado di Rimini assieme a 4 accompagnatori del Comune di Rimini hanno visitato il campo di concentramento di Mauthausen, il memoriale di Gusen ed il Castello di Harteim, che fu una delle sedi della cosidetta Aktion T4.
Sono stati diversi i temi trattati nelle discussioni comuni, prendendo spunto dalla storia e dalle storie che sono state rievocate:
Perché i nazisti creano i campi di concentramento? Quale fu il ruolo svolto da Mathausen nella rete dei campi? I carnefici furono mossi dalle stesse motivazioni nell'aderire al male? Le vittime, con la loro diversità individuale e come gruppo perseguitato con modalità differenti, ebbero dei margini di reazione per contrastare il male, proteggersi, mettersi in salvo? Quali condizioni individuali e contestuali fanno sì che un individuo diventi carnefice oppure al contrario un resistente, un salvatore?
Mauthausen, Gusen, Hartheim
Situato a 25 km dalla città austriaca di Linz, il campo di concentramento di Mauthausen, con la sua rete di numerosi sottocampi (tra cui Gusen, uno dei maggiori) fu complessivamente il luogo in cui tra il 1938 (poco dopo l’annessione dell’Austria da parte della Germania nazista) e il 5 maggio 1945 (quando fu liberato dall’undicesima Divisione dell’esercito statunitense) furono imprigionate circa 190.000 persone, di cui la metà non sopravvisse alle drammatiche condizioni di internamento o fu uccisa con vari metodi, tra cui esecuzioni sommarie, fucilazioni di massa, assassinio nella camera a gas del campo, esperimenti medici e torture. La stragrande maggioranza erano uomini, tra cui anche alcune migliaia di adolescenti. Circa 8.000 di questi prigionieri erano Italiani, arrestati dopo l’autunno 1943.
Gli ebrei rappresentarono sempre una minoranza, non solo a Mauthausen ma in tutti i campi istituiti dai nazisti.
Costruito nei pressi di una grande cava di granito, Mauthausen fu uno dei lager con la più alta mortalità tra tutti i campi di concentramento nazisti, in virtù del fatto che i prigionieri venivano costretti a lavorare in condizioni assolutamente inadeguate e crudeli che provocavano la loro morte, spesso nel giro di pochi giorni dall’arrivo.
Pur con l’intento di sfruttare la manodopera gratuita dei deportati rinchiusi nel lager (e nei suoi sottocampi) e di lucrare sul lavoro coatto, le SS non fecero nulla per creare condizioni di lavoro favorevoli alla produttività dei loro schiavi che, invece, furono sempre trattati con estrema brutalità. È proprio in ragione dell’altissimo numero di morti e del trattamento disumano imposto nel complesso concentrazionario di Mauthausen che nella memoria dei sopravvissuti questi lager sono definiti come “campi di sterminio” quando invece non lo furono né nelle intenzioni di coloro che li pensarono e li costruirono, né nelle modalità di gestione. I campi di sterminio furono in realtà centri attrezzati per l’uccisione di massa degli ebrei e, in parte, dei Sinti e dei Rom, non veri e propri campi con baracche e alloggiamenti (proprio perché la finalità di sterminio non prevede sopravvissuti) e furono istituiti fuori dai confini del Reich, nei territori occupati (principalmente in Polonia).
Hartheim fu uno dei centri in cui la Germania nazista mise in atto un programma “speciale” per assassinare con il gas e con farmaci a dosi letali i disabili fisici e psichici, adulti e bambini (ma Hartheim era destinato solo a vittime adulte), anche affetti da patologie curabili ma ritenute ereditarie. Medici e infermieri si prestarono a diventare strumenti di morte di migliaia di innocenti, perché ritenevano giusta la visione del nazismo dell’umanità che prevedeva di eliminare i più deboli e le “bocche inutili da sfamare” in nome di un popolo germanico sano, forte e privo di individui malati.
I 53 studenti sono stati accompagnati da Laura Fontana, che ha curato la preparazione storica e le visite ai luoghi assistita da Fabio Cassanelli, da Maria Carla Monti che ha coordinato la logistica e da Emiliano Violante, curatore della comunicazione web e dei social media.
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