Auschwitz fu istituito nel giugno 1940 dai nazisti a una sessantina di chilometri da Cracovia e fino al 27 gennaio 1945, giorno in cui arrivarono gli Alleati sovietici, funzionò come il più grande complesso concentrazionario del Terzo Reich. Inizialmente creato come campo di prigionia e punizione per gli oppositori polacchi o per i polacchi sospettati di resistenza, divenne presto un campo di concentramento per diverse categorie di prigionieri di ogni nazionalità, sviluppandosi in una rete di più di 40 campi di lavoro forzato. Parallelamente a questa funzione detentiva, Auschwitz divenne nel corso del 1942 anche un centro di sterminio col gas per gli ebrei polacchi ed europei, precisamente a Birkenau, un secondo campo creato dall’autunno 1941 a pochi chilometri dal campo principale. Ma fu soprattutto con la costruzione di 4 grandi crematori con camere a gas funzionanti con lo Zyklon B, dalla primavera del 1943, che Birkenau divenne il principale centro di assassinio di massa degli ebrei deportati da ogni Paese, tra cui l’Italia dove la Shoah ebbe inizio dopo l’8 settembre 1943, con l’occupazione tedesca della penisola.
Nella storia precedente ho raccontato la rivolta degli ebrei di Sobibòr, un altro centro di sterminio situato come Auschwitz Birkenau in Polonia, ma anche a Birkenau ci fu un episodio molto importante di incredibile ribellione e di rivolta armata. Accadde il 7 ottobre 1944, quasi alla fine della storia di questo luogo, e i protagonisti coraggiosi di questo atto disperato furono i prigionieri del Sonderkommando. Sonder, in tedesco, significa “speciale”, mentre Kommando si riferisce ad una squadra di lavoro. In realtà “squadra di lavoro speciale” era un eufemismo nazista, un’espressione codificata della lingua dei carnefici per indicare quei prigionieri ebrei che a Birkenau erano selezionati per lavorare nelle camere a gas, dove dovevano occuparsi dei cadaveri, tagliando i capelli alle donne, estraendo i denti d’oro e incenerendo i corpi nei forni crematori. Era l’inferno nell’inferno e sebbene sia impossibile, persino indecente, stabilire una gerarchia nella sofferenza, è chiaro che questi uomini si trovavano in una posizione straziante perché erano costretti ad accogliere i gruppi di deportati senza rivelare loro che dopo pochi minuti sarebbero morti di una morte atroce, ed erano costretti ad un lavoro orribile che li rendeva parte del meccanismo di sterminio, sebbene non avessero la minima probabilità di scelta, né di sopravvivenza. In effetti, poiché questi prigionieri erano testimoni oculari del funzionamento delle camere a gas, venivano periodicamente assassinati e sostituiti con altri detenuti. Inoltre, il gas veniva buttato nelle camere a gas solamente da un membro delle SS, mai dai un prigioniero.
Possiamo avere un’idea, sebbene sia impossibile immaginare un orrore simile, di cosa fosse il lavoro dei Sonderkommando osservando uno dei disegni realizzati dal sopravvissuto David Olère, artista francese di origine polacca che fu deportato ad Auschwitz nel 1943 e fu costretto a lavorare nei crematori.
La decisione di ribellarsi, pur consapevoli che si sarebbe trattato di un’azione disperata e senza poter fermare del tutto lo sterminio, maturò nel corso del 1943, anche se le squadre in parte furono sostituite, e nacque proprio dalla consapevolezza di essere destinati a scomparire come tutti gli altri ebrei, inghiottiti nella macchina di distruzione e uccisi senza lasciare tracce. Ribellarsi era quindi un atto eroico per cercare di morire con dignità da combattenti.
Gli uomini del Sonderkommando furono aiutati da un gruppo di donne, il cui numero è ancora incerto ma è stimato dalle venti alle trenta in tutto, tutte molto giovani, in media dai 18 ai 23/24 anni, ma c’erano anche due sedicenni e altre poco più grandi, che erano coordinate da Ròza Robota. I prigionieri che lavoravano nelle camere a gas non avevano nessun tipo di arma e volevano far saltare in aria il crematorio in modo da impedire altre uccisioni col gas, oltre a provare a scappare.
Ròza era nata nel 1921 o nel 1923, ci sono fonti diverse, a Ciechanòw, una cittadina ad un centinaio di chilometri da Varsavia, e fin da adolescente militava nell’associazione sionista Ha-Shomer ha-Za’ir, attività che continuò anche quando gli ebrei del suo villaggio furono rinchiusi nel ghetto che i nazisti istituirono durante l’occupazione della Polonia. Praticamente in ogni ghetto ci fu una rete di resistenza clandestina. Nel 1942, quando il ghetto fu liquidato, Ròza fu deportata ad Auschwitz con la sua famiglia e fu l’unica a superare la selezione di ingresso, cioè a non essere immediatamente uccisa. Venne immatricolata come prigioniera nel campo principale, poi tu trasferita a Birkenau a partire da agosto 1942 quando le donne furono spostate nella sezione femminile del nuovo campo. Qui fu assegnata al cosiddetto Kanàda Kommando, la sezione di Birkenau dei giganteschi magazzini dove venivano smistati i vestiti e gli oggetti degli ebrei che poi venivano spediti in Germania. Era un lavoro considerato privilegiato, perché i prigionieri lavoravano al coperto, non era un compito particolarmente pesante come lavorare all’aperto, ma soprattutto si poteva tentare di rubare del cibo dai vestiti delle vittime, o altri beni di prima necessità da contrabbandare al mercato nero del lager, senza farsi vedere dalle guardie. Rubare era molto rischioso, ma era comunque possibile e con quel cibo si poteva sopravvivere qualche giorno in più e aiutare anche altre compagne. Ròza divenne presto una prigioniera stimata dalle altre, perché sapeva organizzare il lavoro e crearsi delle relazioni di solidarietà.
Grazie ad un altro prigioniero proveniente dal suo stesso villaggio, Noah Zabludowicz, Ròza entrò in contatto con la rete di resistenza ebraica clandestina di Auschwitz, di cui faceva parte anche Israel Gutman che sopravviverà e diventerà uno dei maggiori storici della Shoah. Auschwitz aveva due reti di resistenza clandestina, la resistenza internazionale, formata soprattutto da internati polacchi e tedeschi non ebrei, e quella ebraica. Le due reti non erano unite nei metodi e negli obiettivi, soprattutto perché nell’autunno 1944 l’Armata Rossa era giunta a breve distanza dal complesso di Auschwitz, quindi la resistenza internazionale pensava che la liberazione era vicina e non conveniva rischiare con azioni armate, mentre la situazione degli ebrei che erano tutti destinati allo sterminio era molto diversa e più drammatica. Gli uomini del Sonderkommando sapevano di non avere scampo, per questo pensarono di ribellarsi già nel corso del 1943 e tentarono più volte l’aiuto della resistenza politica del campo che giudicò troppo pericoloso e irrealizzabile il loro progetto.
La resistenza ebraica avvicinò Ròza chiedendole se aveva la possibilità di coinvolgere alcune donne che lavoravano alla fabbrica Weichsel-Union-Metallwerke, situata in uno dei campi satellite di Auschwitz. La ragazza non esitò a dichiararsi disponibile e riuscì a creare un gruppo di diverse prigioniere, tutte ebree e addette a fabbricare detonatori da sparo, col compito di trafugare ogni giorno un po’ di polvere da sparo e portargliela affinché lei, a sua volta, potesse farla avere alla rete clandestina di resistenza che la recapitava ai Sonderkommandos. Un’impresa rischiosissima che per diversi mesi realizzarono tutte insieme in un’eroica catena di resistenza. L’esplosivo veniva nascosto in piccolissime quantità nei vestiti, nella gamella del cibo, nello straccio che le copriva il capo, negli zoccoli, ovunque. Poiché si poteva nascondere solo qualche grammo di polvere, il procedimento richiese molto tempo.
Purtroppo non è stato possibile risalire ai nomi di tutte le prigioniere, ma è documentato che il nucleo principale era costituito da Ala Gertner (Będzin,1912), la più anziana coi suoi 32 anni, Regina Safirsztajn (Będzin, 1915) and Ester, detta Estusa, Wajsblum (Varsavia, 1924), che lavorava alla fabbrica con la sorella minore Hanna di 14 anni. Erano tutte ebree polacche. Ester era arrivata ad Auschwitz nella primavera 1943, Ala e Regina con la deportazione degli ebrei dei ghetti di Będzin e di Sosnowiecz nell’agosto seguente.
La storia della rivolta è un’altra storia da raccontare, va ricordato che il nucleo combattente fu il crematorio IV dove i prigionieri uccisero alcune SS, ferendone altre, ma 250 morirono nella ribellione e nel tentativo di fuga, mentre altri 200 furono poi uccisi dalle SS.
Poiché la rivolta era stato un atto clamoroso e del tutto inspiegabile per le SS che non si sarebbero mai aspettati una simile organizzazione e reazione in un centro di sterminio, le SS alla direzione del campo intrapresero subito un’inchiesta per scoprire tutta la rete dei colpevoli. Era chiaro che la polvere da sparo era stata trafugata alla Union Metallwerke, quindi c’era sotto una rete di prigionieri e prigioniere coinvolte.
Dopo pochi giorni furono arrestate Ala, Regina e Ester, condotte nella prigione del blocco 11 del campo principale di Auschwitz e brutalmente torturate affinché confessassero i nomi dei loro complici, ma le ragazze sopportarono quelle torture atroci senza dire una parola. Le SS pensarono allora di liberarle e ricondurle al lavoro per vedere se si sarebbero tradite, inoltre infiltrarono nella squadra una spia, Eugen Koch, un prigioniero cecoslovacco che per metà era ebreo. Grazie al suo intervento – Eugen finse di sedurre Ala - vennero arrestate nuovamente le tre prigioniere ma questa volta insieme a Ròza.
La resistenza ebraica di Auschwitz era molto preoccupata dell’arresto di Ròza perché era quella che conosceva tutti i loro nomi, se avesse parlato sotto tortura sarebbe stata la fine per tutti. Noah Zabludowicz, allora, che come abbiamo detto la conosceva bene essendo originario dello stesso paese,riuscì a convincere il kapò di guardia nelle celle del bunker dove era rinchiusa Ròza a fargliela vedere. Il kapò era ebreo e accettò di far ubriacare l’SS di guardia affinché fosse libero l’accesso alla prigione. Noah Zabludowicz sopravviverà alla liberazione e testimonierà di quell’ultimo incontro con Ròza, resa totalmente irriconoscibile dalle torture subite e già in fin di vita. Ma la ragazza ebbe la forza di pronunciare poche parole, rassicurandolo di non avere tradito nessuno e pregandolo di incoraggiare i compagni a continuare la lotta affinché il suo sacrificio non fosse vano. Ròza sapeva di dover morire.
Le 4 ragazze furono impiccate tra il 5 e il 6 gennaio 1945, a pochi giorni dall’arrivo delle truppe sovietiche e della liberazione.
Affinché la loro esecuzione servisse da monito per tutte le prigioniere, furono impiccate due a due, le prime di notte e le altre di giorno, in modo che ogni gruppo di lavoro che si alternava per 12 ore potesse vedere la punizione che spettava a chi tentava di ribellarsi.
Prima di morire, Ròza, Alma, Regina e Ester incitarono le compagne a resistere.
Tra le detenute al rientro dal lavoro e costrette ad assistere a quella scena atroce c’era anche la quattordicenne Liliana Segre che era stata deportata il 30 gennaio 1944 da Milano con suo papà. Ecco come ha ricordato quel terribile momento:
“Quando siamo arrivate ci hanno fatto mettere in ginocchio e il comandante del campo ha detto, guardate bene, perché questo è ciò che capita a chi fa del sabotaggio. Ci ha tenute lì parecchio tempo, a guardare. Proprio lì con noi c’era la sorella di una di queste due ragazze, anche lei obbligata a guardare. “ (Da Daniela Padoan, Come una rana d’inverno. Conversazioni con tre donne sopravvissute ad Auschwitz, Milano, Bompiani, 2004, p. 33).
Anche un’altra sopravvissuta che era presente quel giorno ha ricordato quell’uccisione con un disegno, anche se risulta impreciso per il fatto che le quattro ragazze non furono impiccate tutte insieme.
Quella fu l’ultima impiccagione pubblica di Auschwitz. Per approfondire la storia della rivolta dei Sonderkommandos consiglio di leggere la testimonianza di Shlomo Venezia, ebreo italiano che venne deportato nell’estate 1944 da Salonicco. A Birkenau fu selezionato col fratello Moisé e col cugino Dario Gabbai a far parte delle squadre di lavoro nelle camere a gas. Il suo libro si intitola “Sonderkommando Auschwitz. La verità sulle camere a gas.”
Didascalie delle immagini :
Disegno di David Olère, la sala dei forni crematori a Birkenau. 1945 © Lohamei HaGeta’ot, Israel
Ròza Robota
Il Krematorium IV di Auschwitz-Birkenau © Auschwitz-Birkenau State Museum
Disegno di Naomi Yudkowsky (Zofia Rosenstrauch)- © Lohamei HaGeta’ot, Israel
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