VEDI ALLA VOCE: UMANO. Vittime, carnefici, spettatori nell'universo concentrazionario nazista (1933-1945)

Attività per l'anno scolastico 2014/2015

In memoria di Shlomo Venezia (Salonicco, 29 dicembre 1923 - Roma, 1 ottobre 2012)
Grazie Shlomo, di tutto quello che ci hai donato e insegnato.

 

Attività promossa dal Comune di Rimini con la partecipazione Istituto per la Storia della Resistenza e dell’Italia Contemporanea della Provincia di Rimini in collaborazione con ANPI, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, di Rimini,  Alcantara Teatro Ragazzi, Associazione Culturale Mare di Libri Libreria Viale dei Ciliegi 17, Associazione culturale ARE ERE IRE - Cibo per giovani menti, Storia per Tutti

L’umano, o quel che resta, nell’esperienza dei lager nazisti e della Shoah è il tema su cui lavoreremo attraverso le iniziative dell’Attività di Educazione alla Memoria al quale sarà, in modo particolare, dedicato il seminario di formazione storica per gli studenti e le studentesse dell’ultimo anno delle scuole secondarie di secondo grado di Rimini. Il titolo intende focalizzarsi sul fatto che la maggioranza delle vittime e dei carnefici della Shoah non furono esseri umani straordinari per qualità morali elevate o spregevoli, per capacità intellettiva o per le azioni compiute, ma furono invece uomini e donne comuni, quasi banali, nella loro normalità. Furono però le circostanze dell’epoca in cui vissero a rendere la loro vita drammaticamente fuori dal comune. Non si tratta, quindi, di indagare genericamente l’astratta capacità dell’uomo di compiere le peggiori nefandezze o gli atti più eroici e caritatevoli, ma di indagare cosa resti di umano in un contesto politico specifico come quello del nazionalsocialismo, segnato da un’ideologia razzista e antisemita, dall’omologazione, dalla paura, dall’opportunismo, dall’assuefazione alla violenza. Vogliamo riflettere su come in circostanze estreme, l’uomo risponda ai propri dilemmi morali e al peso della sopraffazione, decidendo se restare, appunto,umano e con quale significato per il termine di umanità. Cosa rimane di umanità nella vittima a cui hanno tolto tutto, nome, dignità, rispetto del proprio corpo, speranze? E come facciamo a parlare di uomini pensando ai carnefici della Shoah che spesso furono ottimi padri, mariti, figli, e spietati assassini di persone inermi? Dal punto di vista delle vittime questo significa essenzialmente due cose:
1. come riuscirono le vittime dei lager e dei ghetti a rimanere umani, contrastando sia il sistema di angherie fisiche e psicologiche che veniva loro imposto sia lo sguardo disumanizzante del carnefice che li vedeva come “non uomini”? Alla disumanizzazione imposta si opposero i tanti tentativi dei deportati e prigionieri, ebrei e non ebrei, di resistere alla distruzione di sé mediante il compimento di semplici azioni umane. I sopravvissuti ci hanno insegnato che si poteva rimanere uomini anche con minuscoli gesti di resistenza quotidiana, come lavarsi nell’acqua putrida e gelata, aiutare un compagno sfortunato, scrivere o disegnare di nascosto oppure, semplicemente, rifiutandosi di diventare a loro volta crudeli e insensibili. Vogliamo dunque raccontare la vittima che seppe rimanere umana anche in una situazione estrema come l’universo concentrazionario in cui violenza, umiliazioni e morte erano elementi quotidiani.
2. come tener conto di un’insopprimibile complessità umana senza giudicare moralmente il comportamento delle vittime in luoghi inumani come i lager? Hanna Kugler Weiss, sopravvissuta di Auschwitz, ha detto spesso nelle sue testimonianze che “non sempre furono i migliori a sopravvivere”. Non servono facili “giochi di immedesimazione” all’insegna del “tu che avresti fatto?” per confrontarci con quella zona grigia a cui l’uomo appartiene proprio nella sua libertà di agire in quanto essere umano. Anche i Kapo dei lager o i membri dei consigli ebraici e della polizia ebraica dei ghetti, per fare alcuni esempi, vanno considerati umani a pieno titolo, poiché in una situazione di oppressione e di violenza che non va né dimenticata né minimizzata (furono innanzitutto vittime) compirono o furono costretti a compiere scelte più o meno estreme, arginando il male oppure lasciandosene contaminare totalmente.
Dal punto di vista dei carnefici, il focus del nostro ragionamento diventerà la Shoah, perché un genocidio su scala europea perpetrato in pochi mesi e nell’indifferenza generale, con un’organizzazione metodica e industriale che raggiunse nella camera a gas e nella distruzione di ogni traccia della vittima un punto di non ritorno nella storia dell’umanità, ci permette di cogliere quel lato umano del carnefice che sovverte drammaticamente i nostri schemi mentali. Perché se l’assassino efferato e crudele, il fucilatore di massa delle Einsatzgruppen per fare un esempio, non consente incertezze nel giudizio, i tanti Adolf Eichmann che pensarono e parteciparono allo sterminio senza macchiarsi le mani di sangue, senza “neanche” professarsi antisemiti o senza apparire di indole malvagia, ci rimandano un’immagine di noi stessi che ci sgomenta. Appunto perché umana. Furono uomini comuni (ma anche donne) quelle SS che riuscirono a scindere la loro vita da un lato in lavoro nei lager, tra brutalità e scene di morte, e dall’altro nella normalità quotidiana, a casa sul divano con i propri famigliari, il cane, la musica classica, che ci accomuna tutti. La banalità del male teorizzata da Hannah Arendt significa che questi uomini considerarono banale il crimine perpetrato, negandone la connotazione di male e rovesciando il sistema di valori che regge la convivenza tra le persone. I carnefici, come dichiarò il comandante di Treblinka Franz Stangl, non si sentivano disumani poiché ai loro occhi le vittime erano come “bestiame” o “carne in scatola”, era stato reciso ogni legame di appartenenza col genere umano. Stando lontani dalla tentazione superficiale di indurci a credere che in qualunque uomo o donna comune sonnecchi un potenziale carnefice, cercheremo invece di capire cosa faccia di un uomo uncarnefice quando si verificano determinate condizioni culturali e politiche.
In questo tentativo di stare rigorosamente ancorati alla narrazione storica del nazismo – senza laquale nulla si spiega – ma al contempo di ricondurre la tragedia della deportazione e della Shoah all’uomo e all’umano, cercheremo di stimolare i nostri studenti a formulare ipotesi interpretative e giudizi politici (oltre che morali) sull’adesione o, al contrario, sulla resistenza al male, per coerenza con il principio di educazione alla responsabilità individuale che regge tutta l’Attività di Educazione alla Memoria di cui il Comune di Rimini si occupa da oltre mezzo secolo.

                          

Opuscolo Attività 2014-2015