Recensione de "I sommersi e i salvati" (Primo Levi)

I sommersi e i salvati
Primo Levi

Il libro "I sommersi e i salvati" di Primo Levi a mio avviso ha sicuramente le caratteristiche di una testimonianza personale dell'autore sulla sua prigionia all'interno del campo misto di Auschwitz — Birkenau ( precisamente nel "sottocampo" di Monowitz ), ma il fatto che esso sia suddiviso in capitoli che di volta in volta trattano più specificamente un argomento gli conferiscono un'impronta saggistica che non è per nulla trascurabile. Ciò è rispecchiato dal continuo confronto che Levi attua con altri testi sull'argomento, i quali possono essere a loro volta altri saggi o testimonianze, per tentare di dare una descrizione il più possibile realistica ed oggettiva degli eventi e dei comportamenti ( ne è un esempio eloquente il passo nel quale tenta per qualche momento di calarsi nei folli pensieri che potevano animare un gerarca nazista o un milite delle SS nel suo rapportarsi con i prigionieri del campo).. Il linguaggio che viene utilizzato nel testo vede un impiego frequente di termini tecnici di quello che era l'universo concentrazionario nazista: molti infatti sono i nomi scritti in quello che nel capitolo "Comunicare" viene definito Lagerjargon, cioè una forma brutalizzata della lingua tedesca che nel campo diventava qualcosa di definibile, secondo il filologo Klemperer, come una "Lingua Tertii Imperii". Il periodo di tempo trascorso dalla fine della Seconda Guerra Mondiale dopo il quale l'autore scrive il libro viene dichiarato dallo stesso: sono passati infatti più di quindici anni dalla fine di essa e proprio da ciò lo spunto per parte dell'introduzione al saggio e del primo capitolo. Infatti in essi è trattato il tema del ricordo e della memoria e le loro evoluzioni e cambiamenti nel caso delle vittime e in quello dei carnefici con il passare del tempo. La memoria dei carnefici infatti, mette in risalto Levi, tende a correggersi nel tempo grazie a piccole modifiche che le si apporta volontariamente, quasi nel vano tentativo di nascondere a sé e al resto dell'umanità i terribili fatti avvenuti e la responsabilità che essi avevano per questi con l'aggiunta di non consapevolezza o di impossibilità a disobbedire del tutto fittizie. Trovandosi a dover fronteggiare il problema morale che derivava dal gran numero di stragi che venivano perpetrate anche nei più spietati adoratori dell'ideologia nazionalsocialista, i gerarchi tentarono alcune risoluzioni dei "Problemi etici che sempre più spesso si venivano a verificare. In alcuni casi infatti, come ín quello delle Einsatzkommandos, la memoria delle terribili azioni del gruppo veniva, se non cancellata, se non altro molto "annebbiata" per mezzo di un uso eccessivo di alcolici. In altri, quali ad esempio quello dei soldati che dovevano mantenere l'ordine all'interno dei campi di concentramento o che dovevano rimuovere i cadaveri dalla camere a gas, si provvedette in un primo momento a porre in quei ruoli coloro i quali, pur di non essere inviati al fronte, erano pronti ad accettare praticamente tutti i compiti che i superiori potessero loro richiedere. Preso atto che comunque i problemi non erano diminuiti nella misura desiderata la misura successiva fu quella dì coinvolgere nello svolgimento di ruoli quali quello di Kapos i prigionieri che erano ritenuti avere un posto più alto nella loro gerarchia oppure coloro che, come i sadici, non si facevano scrupolo nell'infliggere pene dolorose agli altri reclusi nel tentativo di rendere più capillare il sistema dei colpevoli. Discorso a parte va invece effettuato per i Sonderkommandos, cioè le squadre di prigionieri ebrei che erano addetti allo sgombro delle camere a gas dai cadaveri, al raccoglimento degli indumenti dei deceduti, al taglio dei capelli delle donne morte e poi all'utilizzo dei forni crematori nei quali venivano bruciati i corpi dei deceduti. Dopo un certo numero di gasazioni veniva rimpiazzata anche la squadra speciale, tenuta sempre lontana dagli altri prigionieri e fornita abbondantemente di alcolici durante il lavoro. Coloro che dovevano svolgere il compito erano scelti fra i nuovi arrivati poiché erano disorientati dal nuovo posto e comunque i casi dì suicidio fra questi erano molto elevati. Dietro a questo passaggio di compiti vi era il tentativo di umiliare ulteriormente il prigioniero tentando di fargli credere di non potersi neppure appigliare ala sua superiorità in quanto ingiustamente perseguitato in quanto egli era riuscito, quasi fosse una bestia, a bruciare un suo simile. Ad Auschwitz si susseguirono dodici squadre Sonderkormnando. Queste furono istituite nei vari campi di sterminio o misti dopo il 1943, anno nel quale furono edificati i primi forni crematori a Treblinka in seguito al problema dello smaltimento dei cadaveri. Questi infatti,dopo essere stati in un primo tempo seppelliti all'interno del campo in enormi fosse comuni, avevano creato dei rigonfiamenti nel terreno per i gas della decomposizione che risalivano in superficie diffondendo un terribile odore di putrefazione. Fu così che, chiamato un nuovo comandante per il lager di Treblinka, furono ideati i primi forni crematori. Questo è ciò che il gerarca nazista Sukomel rivela a Lanzman che lo intervistava riprendendolo di nascosto e che inserirà questa intervista all'interno del film "Shoah". Differente è invece il discorso sulla memoria delle vittime. Essa infatti doveva essere tale che, posto che qualche notizia sulle condizioni di vita e ciò che avveniva all'interno dei lager fosse riuscita a giungere al di fuori di esso, non fosse ritenuta credibile da un eventuale osservatore (si spiega così in parte lo scetticismo diffuso a livello di governi quali quello statunitense oppure per quanto riguardava Molotov, per non parlare poi delle varie organizzazioni quali ad esempio la CRI). Questo fatto era spesso utilizzato dai militi delle SS per effettuare del vero e proprio terrorismo psicologico sui nuovi arrivati, specialmente quelli che non dovevano essere inviati subito alle camere a gas come deterrente contro eventuali ribellioni o per abbattere ancor di più il morale di coloro che erano stati appena deportati. Comunque il mutamento del ricordo non era un qualcosa di peculiare dei soli carnefici: infatti molti testimoni hanno via via leggermente modificato i racconti delle loro esperienze forse per il fatto che avevano sentito un particolare ripetuto così tante volte che, rammentando invece qualcosa di diverso, lo attribuiscono allo shock che glielo aveva fatto credere in quella maniera, oppure nel tentativo di colpire maggiormente l'attenzione dell'ascoltatore. Di fronte alla memoria fra le vittime vi sono due reazioni: la prima è quella di non testimoniare l'esperienza per la vergogna che si prova per aver subito tante e tali violenze e soprattutto da persone medie, non quindi da modelli di malvagità., a seconda è quella di testimoniare proprio perché quel sistema malato è stato sconfitto e perché non ritorni mai più. Comunque quasi tutti i sopravvissuti ai campi misti o di concentramento erano, come ci dice Levi, dei Prominent, cioè dei privilegiati. Infatti era impensabile poter sopravvivere con i soli indumenti o razioni fornite nel campo: occorreva garantirsi quel di più che era necessario per sopravvivere in qualsiasi modo, che fosse il furto o il compromesso con i carnefici. Coloro che scelsero questa via in molti casi lo fecero perché ritenevano che se fossero riusciti a sopravvivere sino alla sconfitta del regime nazista avrebbero vinto portando la loro testimonianza. E a maggior ragione dovrebbe sentirsi accresciuto il nostro senso di disgusto per ciò che era stato tentato dai nazi — fascisti e con esso il senso di vergogna per ciò che una parte di umanità è riuscita a fare contro un'altra parte di essa senza alcun motivo per il fatto che le condizioni di vita di cui ci è giunta direttamente testimonianza erano migliori della media, ma per noi pur sempre inconcepibili.. Nel capitolo "La zona grigia" vengono presentate alcune delle figure che si trovavano in una via di mezzo fra le sfere amministrative e militari tedesche e i prigionieri. Esempi calzanti sono gli stessi kapos, figure di persone che avevano deciso di partecipare a quela decontrazione del potere che da un lato permetteva ai nazisti di mantenere il loro indiscusso dominio e dall'altro gli forniva una serie di aiutanti che per una quantità risibile di potere li aiutavano a mantenere lo status quo ( esempio simile ma al di fuori dei campi potrebbe essere la dittatura fascista in Italia ). Altra figura citata nella zona grigia è Chaim Rumkowsky, che fu investito dai nazisti della carica di Decano dela ghetto di Lodtz, una città industriale polacca occupata. Nelle città dell' est Europa infatti la popolazione ebraica, prima di venire deportata, era ammassata all'interno dí ghetti che poi venivano svuotati ( come ad esempio quello celebre di Varsavia ). Pur non avendo quasi nessun potere effettivo e dovendo girare per il ghetto con un corpo di polizia che fungeva a tutti gli effetti da sua guardia del corpo, viveva trionfante nel suo regno di miseria da cui le industrie tedesche pretendevano sempre più prodotti tessili nonostante la popolazione del ghetto diminuisse. Quando ci fu l'ultimo trasporto per la deportazione degli abitanti del ghetto decise di farsi deportare anche lui. Nel capitolo "Comunicare" vengono descritti tutti gli inconvenienti derivanti dalla non conoscenza del tedesco o dello jiddish: nel primo caso si rischiavano la reazioni furibonde dei kapos o dei soldati SS o la non conoscenza di informazioni che a noi potrebbero sembrare ridicole, quali il modo per ottenere un cucchiaio, ma che nel lager avevano un'importanza enorme, mentre nel secondo essa impediva ogni contatto con quello che non fosse un connazionale. Tutto ciò poteva pregiudicare le seppur poche occasioni di comunicazione estirpando alla radice una minima possibilità di solidarietà fra i prigionieri. Altra tecnica utilizzata per disumanizzare il prigioniero era la pratica della violenza inutile contro di esso. Già con il suo ingresso nel treno merci per la deportazione essa aveva inizio. Infatti, nonostante il viaggio fosse lungo anche molti giorni i vagoni non erano dotati di vasi per gli escrementi e di luoghi per appartarsi. Così si iniziava a distruggere il pudore della persona, passando poi per il rasarla anche se era una donna e facendo stare i prigionieri nudi al freddo e vicini. Si arrivava poi alle estenuanti conte al freddo e in qualsiasi condizione climatica che potevano durare anche più di un giorno, alle latrine in comune che venivano chiuse durante la notte, fino alla stesse ciotola che doveva essere utilizzata per mangiare, lavarsi e urinare. Forse il culmine lo si raggiunge ad Auschwitz con il numero di riconoscimento tatuato ( e solo ad Auschwitz ) che era il segno indelebile di aver passato un periodo della vita lì. Questo tentativo di disumanizzazione poteva essere superato grazie alla religione o all'ideologia. La cultura poteva essere un valido sostitutivo a quelle prime due solo nei momenti di quasi tregua nei quali non si lavorava o non lo si faceva duramente e non si dormiva ( un esempio potrebbe essere il capitolo di "Se questo è un uomo" nel quale Levi tenta di spiegare al suo compagno di lavori il canto di Ulisse dell'Inferno" di Dante cercando a volte di ricordare persino i versi ). Comunque chi prima di entrare nel lager non aveva mai svolto attività fisiche per dedicarsi a quelle intellettuali si dovette scontrare con il dover imparare un lavoro preminentemente fisico. Nel libro viene dedicato un intero capitolo agli stereotipi che sono diffusi ma che ad Auschwitz e in altri campi non erano minimamente praticabili, quali ad esempio la fuga, che nel "migliore" dei casi avrebbe portato ad interminabili conte e alla tortura sino alla morte dei vicini di branda, o la ribellione, che non aveva alcuna possibilità di riuscire in quanto la maggior parte delle persone era in condizioni fisiche e mentali pessime ( e qui Levi cita Marx ) e i casi di Resistenza interna avvenivano magari, come racconta Liliana Segre, nelle fabbriche di armi in cui gli ebrei erano costretti a lavorare nell'ultimo periodo della Guerra dove si rallentava la produzione di munizioni segnandone una fallata in realtà integra ogni cento circa con l'uso della parola segreta Auschluss. Altro caso narrato dalla Segre è quello di due operaie polacche che erano riuscite a nascondere una cassa di esplosivo sotto le assi del pavimento della fabbrica di munizioni per farla saltare. Purtroppo il tentativo non riuscì, le due operaie furono scoperte e tenute impiccate per tutto il giorno. Altro stereotipo era quello della fuga dalla propria patria pur di salvarsi vista l'ascesa al potere di Hitler. A questa Levi risponde indicando l'integrazione in Germania e in Italia degli ebrei nel tessuto sociale e l'amore per il paese natio. Poi rilancia con la provocazione di andare a vivere tutti in luoghi desolati visto che incombe la Terza Guerra Mondiale che sarà una guerra atomica. Poi vi è il capitolo finale, dove vi sono riportati vari stralci di lettere ricevute dall'autore dopo l'uscita di "Se questo è un uomo" tradotto in tedesco e suoi commenti e parti delle sue risposte. La parte che ho apprezzato di più di questo capitolo è quella in cui l'autore dichiara che afferma di essere soddisfatto per aver ricevuto molte lettere da persone che avevano apprezzato il libro e che avrebbero contribuito a far rinascere la Germania ma che non erano implicate con il vecchio regime, mentre lui avrebbe preferito che lo leggessero coloro che, non puniti durante il processo di Norimberga, avevano collaborato con il nazionalsocialismo e da cui si aspettava magari delle scuse, se non altro simboliche. Quindi i destinatari del libro sono probabilmente loro e lo scopo è quello di mostrare loro ambito per ambito le sofferenze che avevano causato. Penso sinceramente che questo libro sia veramente straordinario e a mio avviso spinge di più il lettore a cercare le cause della Shoah e le sue forme a livello sociale e umano rispetto a "Se questo è un uomo". Penso inoltre che questo possa essere un ottimo libro per riordinare quella gran confusione che si è creata in questi ultimi tempi che è arrivata a dichiarare le foibe come la "Shoah italiana" e forse proprio per questo volutamente commemorate in un giorno vicino al 27 gennaio senza ricordare che gli ebrei non avevano commesso alcun crimine contro il regime nazista se non forse quello che per Hitler andava eliminata: la loro esistenza, mentre se andiamo ad indagare cosa fecero i fascisti nela Yugoslavia di Tito forse qualche motivo valido per ciò che c'è stato dopo, anche se criticabile e da condannare, c'era. Non parliamo poi dell'equiparazione di campi come Auschwitz — Birkenau o Treblinka ai gulag dell'URSS. Per quanto vadano condannati, Levi ci insegna bene che dal punto di vista del tentativo di sterminare un'intera cultura e popolazione i primi due non sono paragonabili ai secondi.

Recensione di Enrico De Camillis