Non lo saprà nessuno/che abbiamo vissuto. La demolizione dell'Umano nei Lager nazisti.

Seminario di formazione per studenti delle classi quinte delle scuole secondarie di secondo grado di Rimini 
19 ottobre 2017 - 15 marzo 2018 ore 15, Sala del Giudizio (Museo della Città) o Cineteca Comunale, Rimini 

Attività di Educazione alla Memoria anno scolastico 2017-2018

Ai 40.000 italiani, uomini, donne e bambini, che per ragioni diverse furono deportati nei campi di concentramento e di sterminio nazisti da cui molti non sopravvissero o tornarono segnati per sempre nel fisico e nell'anima. Possa il nostro impegno di tener vivo lo studio della storia servire anche a onorare la loro memoria.

Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi, è nell'aria. La peste si è spenta, ma l'infezione serpeggia: sarebbe sciocco negarlo. [...] Se ne descrivono i segni: il disconoscimento della solidarietà umana, l'indifferenza ottusa o cinica per il dolore altrui, l'abdicazione dell'intelletto e del senso morale davanti al principio d'autorità, e principalmente, alla radice di tutto, una marea di viltà, una viltà abissale, in maschera di virtù guerriera, di amor patrio e di fedeltà a un'idea.
Primo Levi

Il Comune di Rimini promuove fin dal 1964, in stretta collaborazione con le scuole della città, un progetto chiamato Attività di Educazione alla Memoria, un programma di iniziative legate al tema della deportazione e della Shoah e, più in generale, dell’Europa fascista e nazista. Lo scopo che ci proponiamo è quello di promuovere lo studio e la conoscenza della storia del Novecento, tenendo viva la memoria di tutti coloro che, per ragioni diverse, furono vittime di discriminazioni e persecuzioni e nel contempo riflettere sul valore sempre attuale della responsabilità individuale.
Agli studenti di quinta di tutte le scuole secondarie di II grado di Rimini, viene proposto un seminario di formazione (nel periodo da metà ottobre 2017 a marzo 2018), il cui programma, è illustrato in questo stampato. Quest’anno lavoreremo sul tema dell’umano e dell’inumano studiando il fenomeno dei campi di concentramento nazisti.

Nella Germania di Hitler il campo di concentramento – struttura di per sé non originale poiché se ne trovano esempi nella storia di vari Paesi, tra cui il Sudafrica e Cuba, già a fine Ottocento -ha rappresentato il tentativo di realizzare una società modello omogenea sotto il profilo ideologico ed etnico-razziale, vale a dire “ripulita” degli elementi ritenuti dal regime indesiderabili, incompatibili o deviati da un modello di normalità assunta a paradigma assoluto ed escludente. Nei Konzentrazionslager (KL) il prigioniero doveva imparare coi mezzi più violenti e coercitivi a incarnare il modello dell’uomo nuovo promosso dall’ideologia nazista, riducendosi ad atomo ubbidiente, privato delle sue caratteristiche di individualità e di umanità.
In altre parole, la concezione del lager presupponeva nell’ottica nazista immaginare una società-massa assoggettata ad uno Stato padrone, in cui piegare gli individui ad una adesione totale ai principi inculcati dall’ideologia nazista (per i prigionieri di origine tedesca o comunque considerati “rieducabili”) o all’assoggettamento fisico e psichico come corpi da sfruttare fino alla morte per sfinimento.
La demolizione dell’umano – come recita il titolo del nostro seminario – aveva inizio dalla riduzione del soggetto umano da essere pensante a oggetto vivente, il cui valore, secondo il nazismo, stava nella capacità produttiva e riproduttiva al servizio del Reich. Inoltre il campo di concentramento era pensato come uno spazio di terrore arbitrario e assoluto in cui la violenza strutturale del lager era volta a distruggere l’individuo sia in quanto essere umano, con la sua diversità e unicità, sia come essere sociale, rompendo tutte le norme su cui è possibile costruire forme di convivenza anche in situazioni di prigionia (nei lager era vietato qualunque cosa ai detenuti, pur con delle differenze sostanziali a seconda della categoria di appartenenza, persino parlare coi compagni, in modo che il prigioniero si trovasse completamente privo di legami e di punti di riferimento al di fuori della disciplina imposta dagli aguzzini).
 

Diverse furono le categorie e i gruppi di persone perseguitate dal regime di Hitler per ragioni politico-ideologiche, razziali o biologiche e dallo scoppio della Seconda guerra mondiale (1 settembre 1939) centinaia di migliaia di uomini, donne, adolescenti e bambini furono internati nel lager dove furono sottoposti a condizioni di trattamento inumano all’insegna del disprezzo e della barbarie. Se è importante sapere che i campi di concentramento istituiti dal 1933 in Germania non furono mai pensati come uno strumento specificatamente rivolto contro gli ebrei (per i quali il nazismo si prefiggeva la distruzione fisica totale affinché “sparissero completamente dalla faccia della terra”, come disse più volte Heinrich Himmler, Reichsführer, capo delle SS e architetto della Shoah) e nemmeno contro i Sinti e i Rom (perseguitati in maniera diseguale nei vari Paesi europei occupati), va comunque sottolineato che gli ebrei, pur rappresentando sempre una minoranza della popolazione imprigionata nei lager (con eccezione di Auschwitz-Birkenau e di Majdanek, entrambi in Polonia), subirono il trattamento peggiore con la mortalità in assoluto più alta per numero di vittime.
Il nazismo fece dei campi di concentramento un laboratorio umano per costruire o distruggere individui a seconda che servissero o meno al proprio progetto. Un progetto di dominio da considerare dinamico nel tempo, cioè mutevole, e flessibile, cioè adattabile a seconda delle esigenze contingenti da soddisfare, nonché ai gruppi e alle categorie di persone da isolare e perseguitare. Ecco perché non esiste un'unica storia di un lager, sia perché le memorie dei sopravvissuti furono diverse e talvolta conflittuali, sia perché tra Dachau e Mauthausen ci furono differenze sostanziali importanti, così come tra Buchenwald o tra Dora-Mittelbau e Auschwitz. Infine, perché lo stesso campo differiva profondamente per dimensioni, struttura e funzioni da un anno all’altro.

Alla fine della guerra, nella primavera 1945, si contavano 27 campi di concentramento principali e centinaia di campi secondari, per un insieme di oltre 1000 lager dislocati in tutto il Reich. Nonostante chiunque conosca le immagini simbolo dei lager (il filo spinato, l’insegna Arbeit macht frei, i forni crematori, il lavoro forzato dei detenuti), permangono nella maggioranza delle persone idee errate o confuse su ciò che realmente furono questi luoghi. Sottolineare alcune differenze nelle politiche criminali naziste serve per capire la storia e non ha nulla a che vedere con lo stabilire una gerarchia fra le sofferenze dei prigionieri o fra le vittime della repressione hitleriana. Se i sopravvissuti dei campi raccontano esperienze tragiche molto simili (la fame, le botte, le violenze, le umiliazioni, le uccisioni arbitrarie e collettive), occorre saper leggere la storia separando l’empatia e la commozione per le vittime dall’analisi politica del fenomeno che si vuole studiare. Cercheremo di farlo utilizzando soprattutto le fonti storiche, ma anche le testimonianze di coloro che scrissero cosa fu l’inferno dei lager.

Un confronto, laddove possibile, col fenomeno dei GULag durante lo stalinismo ci permetterà di cogliere alcuni elementi di comunanza e di differenza, applicando tali definizioni politiche di umano e inumano anche ad altre categorie di totalitarismi.